" Mostre 2003"

Il Cantico dei Cantici

01 al 28 Febbraio 2003

Patrocinio della
Provincia di Milano

In collaborazione con
Galleria "Petrofil Arte" - Milano
0229517096

Mostra personale
Libreria Rizzoli Galleria - MILANO
Galleria Vittorio Manuele II


Galleria foto
Mostra Milano Franco Murer
Dal 1 febbraio al 28 febbraio 2003

"La necessità del sogno"
Libreria Rizzoli - Galleria Vittorio Emanuele II - Milano


(Nuovo Catalogo disponibile)
30.00 Euro

 

Attraverso la rappresentazione di un universo permeato dalle aspirazioni più profonde dell'uomo, Murer ferma l'immagine di un attimo assoluto, e, consegnandolo all'eternità, riesce a spezzare le catene del tempo.
La ricerca di un luogo ideale viene espressa con tono ieratico nel ciclo pittorico "La necessità del sogno", un sogno che plasmi il reale e che trova spazio e forma nella silloge "Metamorfosi", simbolo del mutamento e della trasformazione che confluiscono nella scelta della fuga per esistere - scelta abbracciata anche da Van Gogh, Gaugin e Rimbaud.

In Murer si percepisce il fluido transito dal reale all'immaginario, dal finito all'infinito e viceversa,rappresentato dall'arcobaleno che simboleggia appunto il passaggio tra due mondi, da quello terreno a quello divino.
La fuga dal presente per raccontare una storia che è già accaduta nel passato, fissata dal mito, per vivere un altro tempo all'interno del proprio tempo, della propria realtà. E' la stessa trasposizione mimetica del passato in un presente che poneva lo spettatore greco di fronte a una realtà alternativa - una novità, in campo letterario, che fu introdotta dalla tragedia.

E' nel ciclo de "Il mio paesaggio" che Franco Murer cerca di arrivare primo davanti a sé stesso e oltre sé stesso, vincendo la sfida contro la sua condizione umana e il limite che la rappresenta - la morte - tema che segna profondamente e irrimediabilmente l'artista attraverso l'esperienza della scomparsa del padre, il grande scultore Augusto Murer, più di quindici anni fa e di cui leggiamo ne "Il difficile dialogo con il perdono della morte", introduzione voluta da Franco nel catalogo, parole di un lirismo che esprime chiaramente il dolore dell'accettare la morte e quindi i limiti dell'esistenza umana.

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La disperata ricerca di una dimensione emozionale ed emozionabile nella memoria del passato, da potere trasporre nella realtà del presente, è un pensiero forte armonizzato da un lirismo che scorre con risoluto garbo sulle tele di Murer, olii, chine e tecniche miste intrise del calore e della vibrazione equilibrata della sua mano penetrante.
Le composizioni sono prive di un'asse di simmetria e si sviluppano su diverse traiettorie, facendo ricadere nella loro forma aperta quella visione a poli usata dalla decorazione barocca (Trionfo della Divina provvidenza, affrescato da Pietro da Cortona nel Palazzo Barberini). L'opera si configura dunque come un insieme di episodi figurativi distinti che l'osservatore deve leggere singolarmente, ma in un contesto di fluidità degli elementi, partendo dal particolare per arrivare al generale, e guadagnare in ultimo una visione di insieme.
La rappresentazione dello spazio è sempre data dall'illusione della realtà, dalla comunicazione, dal simbolismo e dalla temporalizzazione, finalità che nella storia dell'arte sono state rese dalle prospettive: a lisca di pesce, a fuoco centrale, a uno o due fuochi laterali, aerea e dal quadratismo.

In Murer non è riscontrabile alcuna delle prospettive dell'esistente panorama artistico, perché egli non sceglie degli assi nei quali fare confluire le linee di fuga e ancora meno stabilisce un punto di origine dell'osservazione. Sembra quasi che l'artista non voglia contemplare la rappresentazione dello spazio, in quanto egli rende le immagini avulse dalla realtà fatta di tempo e di spazio, richiamandosi in tal modo alle raffigurazioni delle civiltà antiche (egiziana, micenea, minoica, sumenica). Contemplando le opere di Murer, se proprio di spazio si vuole parlare, definirei i modi della sua rappresentazione in quell'innovazione artistica che io definisco prospettiva a "fuochi multipli".
Avviene dunque una trasformazione della prospettiva la cui mutazione non dipende da un'esigenza simbolica degli uomini a seconda delle diverse epoche - come sostenne Panofsky sulle orme della dottrina delle forme simboliche elaborata da Ernst Cassirer - o dalle dottrine sociologiche di Francastel, ma è giustificata da esigenze di carattere tecnico-storico (Lunenberg, Laporte, Michelis).

In contrapposizione alla categoria di colore zonale, che addensa il colore alle forme per darne risalto, le forme di Franco Murer non hanno colore dominante, perché la loro importanza è sottolineata dal colore che le circonda. Il nero simbolo del principio di tutto e della fine di tutto; il blu immenso usato nell'antica Grecia e a Roma per rappresentare la massima divinità dell'Olimpo; il bianco che evoca manifestazione del divino; gli energici giallo e arancione ai quali attribuito un alto valore simbolico nella Grecia antica e il valore apotropaico del rosso, chiave della conoscenza che permette la trasformazione (nel Medioevo).
Lo schema a doppia fonte di luce utilizzato dall'artista crea continuità tra figure e ambiente in quanto la luce che arriva dal fondo e frontalmente immerge le forme nell'atmosfera. Questa funzione fu introdotta dai pittori fiamminghi che inconsapevolmente ripresero il concetto del filosofo Plotino (204-279 d.C.) secondo cui questa continuità simboleggiava l'armonia della natura come espressione del divino.
Visione, stile e stesura unici distinguono la forza espressiva della pittura di Murer, confermando la tesi dell'arte come espressione sostenuta da Plotino, il quale affermava: "nell'arte la forma, prima di passare nella materia, esiste già nel nous (pensiero) dell'artista; l'arte è un'operazione spirituale, soggettiva, sia per l'artista che dà forma a ciò che ha dentro di sé, sia per l'osservatore, il quale riconosce nell'opera il riflesso della propria interiorità".
Viene infine da domandarsi se non sia giusto e necessario includere lo sviluppo innovativo di Franco Murer tra i percorsi creativi dell'arte del fine XX° e inizio XX° secolo. E proprio attraverso il suo collocamento storico e temporale, ancora una volta Murer assurge a simbolo del passaggio tra due tempi, due realtà, due secoli.


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Come successione spontanea dell'indagine preiconografica - forma, spazio, colore, luce - emergono con fierezza i simboli dominanti dell'analisi iconografica e iconologica, dei quali parlerò in maniera non esaustiva data la lunga e profonda valutazione che essi richiederebbero.

Nei dipinti di Murer l'elemento più rappresentato e carico di valore simbolico è l'uovo, raffigurato sotto molteplici forme: come uovo cosmico, come utero e matrice (della creazione), come cornice e guanciale, delineato da un tratto nero deciso o dall'arcobaleno, e come simbolo della perfezione divina.
L'archetipo dell'ovale è simbolo della vita in formazione, della fertilità e della perfezione, e attraverso di esso arte, filosofia e religione si sono avvicinate all'arcano ineffabile della vita. L'iconografia occidentale e orientale è permeata di emblemi 'ovoidali', dal mandala tibetano allo Yin e Yang cinese, dalla mandorla dell'ascetismo cristiano, espressione della natura divina di Cristo e simbolo di resurrezione, fino all'uovo appeso in alto, ben visibile, nelle chiese medievali come rappresentazione di veicolo dell'illuminazione interiore.
Spesso raffigurato è anche l'angelo o il cigno, simbolo di uno stato dell'esistenza superiore a quello umano, di potenza e penetrazione intellettuale.
Il cielo rappresenta la coscienza e una dimensione superiore a quella sensuale e terrena. Nella mitologia era popolato dalle divinità, che comunicavano con la terra attraverso segni premonitori come la meteorologia, che Murer riproduce in forma di nuvole e pioggia.
La montagna (e l'albero) riproducono il centro del mondo e il veicolo dell'ascensione al cielo o del ritorno al principio, il ventre della Grande Madre, simbolizzato dalle porte del Regno dei morti, collocate alle pendici del monte. Doloroso è il paradosso delle amate montagne, che oltre al ricordo dell'infanzia e dell'adolescenza trascorse sotto la guida paterna, sono per Franco Murer al tempo stesso memoria della morte del padre e 'misticamente' simbolo della stessa.


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Il grande dono di Murer alla condizione umana è la speranza, non cieca, di una realtà che possa conciliarsi con il divino attraverso l'uso della techne, ossia il progresso che non produce catene e quindi schiavitù come nel mito del titano Prometeo, ma una condizione che trascenda la libertà per offrirci l'egida della divinità, concedendo forse all'uomo una più leggera e serena accettazione della propria condizione e quindi della morte. Il messaggio è ben dipinto da Murer soprattutto nella scelta dello specchio come prodotto della tecnica. Questo oggetto è difatti il mezzo attraverso il quale l'uomo può contemplare la dimensione del divino, perché la visione diretta della divinità non è concessa ai mortali, pena l'accecamento o la morte, come ci insegna la vicenda di Giove e Semele.
L'afflato poetico che contraddistingue Franco Murer è la commovente ricerca, attraverso la pittura, di recuperare i valori perduti di un mondo che non c'è più, se non nell'anima di chi lo vuole vedere, come Franco, che non teme di abbracciare la poesia che dialoga con l'enigma della verità individuale e il sogno che ci rende il ricordo dell'emozione per poi offrirne l'intima essenza a tutti noi, attraverso le sue opere permeate di quella bellezza ideologica che inebria l'osservatore perché proterva e senza limiti, libera di trascendere a sé stessa e all'uomo, lasciando allo spettatore il compito e il sogno di compiere dentro di sé la trasformazione, il mutamento.
La realtà è una dimensione limitata, uno spazio di tempo tra la nascita e la morte che possiamo scegliere di vivere. Il sogno è invece immortale e veritiero, perché solo esso regala emozioni veramente reali, perché le sensazioni che si provano in questa dimensione sono pure e scaturiscono unicamente dai propri desideri incontaminati che nascono dalla nostra purezza e non da una necessità, dal condizionamento delle circostanze esterne.
I sentimenti che nascono da desideri del modo reale sono purtroppo destinati a perdere di intensità e a cessare di essere per mano di noi stessi o di altro, soprattutto perché la natura stessa della realtà è variabile e tende a consumarsi nel tempo. La dimensione del sogno è al contrario spazio eterno nella mortalità della vita. La veridicità delle sensazioni provate nel sogno è unica, irripetibile ed irrinunciabile; la realtà tenderebbe invece a collocare questo 'sentire' in una sorta di modulo matematico per misurarlo, analizzarlo, violarlo, meccanizzarlo e anelarlo, inquinandone infine la purezza dalla quale scaturisce.
Ma questo comprendere, sentire e divenire, è in ognuno di noi, basta avere il coraggio di riconoscerlo. E' solo in noi e nessuna entità potrà mai sradicarlo oppure modificarlo d'intensità perché è dal nostro immaginario che esso prende forma ed è nella realtà impermanente che trova la sua eternità.

"Vengo da lontano
e verso il sole volerò,
attraverso tramonti infuocati,
nello spazio lontano,
fin dove finisce il cielo,
perché lì cominci tu,
nell'infinito
che dentro me
si fa' poesia"


A cura di Jessica R.G. Alessandrini